Mu


Due sopracciglia in disordine
una piccola cicatrice d'infanzia.

La linea dell'orizzonte sulla sabbia
e quattro gocce di tè verde.

Così si scrive il vuoto su carta.

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venerdì 30 maggio 2008

Haiku per un bambino appena nato [III]


Mio figlio sveglio di notte,
il canto di sua madre
ci addormenta entrambi.

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domenica 25 maggio 2008

Vivere o descrivere




Da alcuni giorni continuo a ripetermi a mente una questione: se la cosiddetta «arte» riproduce la natura, o più in generale la realtà, che bisogno abbiamo di essa? Attenzione: non mi sto occupando del caso «l’arte non riproduce la natura/realtà», che è una possibilità, magari anche più interessante. Quello che intendo, e che è intimamente legato al contenuto di questo blog, è cioè: se l’arte è «vuota» (in quanto si pretende priva del filtro del soggetto) perché non sarebbe ad essa preferibile un vuoto dell’arte?

Ok, più concretamente: se devo leggere un haiku (ad esempio l’ultimo postato) che mi ritrae un aspetto, pur preciso ed isolato, della natura o delle nostre città, non sarebbe meglio andarmi a fare una passeggiata nel bosco o in città (lasciando salva la proprietà dell’arte di farci viaggiare in posti in cui non potremmo altrimenti andare)?


Pensavo appunto agli haiku, o almeno a quelli di un certo tipo, quelli più puramente descrittivi (se pur così si possono definire senza rischio di mistificazione), che più appaiono ingiustificati ad esistere davanti la presenza viva della realtà.
In verità, nella mia mente, avevo davanti altre due immagini, sempre provenienti dalla cultura giapponese: il dipinto di Hokusai «iris e cavalletta» che vedete sopra, e la sequenza di un anime (non ricordo bene di quale, forse Evangelion) in cui l’ultima goccia d’acqua pende senza cadere dal rubinetto, evidentemente chiuso poco prima (e di immagini di anime e manga, me ne vengono facilmente in mente molte altre, visto che una delle loro qualità più affascinanti è il loro essere sempre così precisi nel rappresentare dettagli della realtà ai margini della narrazione).

Proprio quest’ultima immagine mi ha aiutato a un certo punto a capire una cosa fondamentale presente in questo tipo di arte che ho definito «vuota», una cosa che, essendo in realtà un’ovvia conseguenza dei discorsi che mi faccio sempre a questo proposito, dovevo avere finora trascurato: si tratta dell’attenzione e dell’interesse, da parte di chi scrive, disegna o fotografa, per l’oggetto rappresentato. Questa dedizione gratuita e istantaneamente totale, che è in definitiva amore purissimo, nel notare un dettaglio del tutto ordinario della realtà (non insignificante, bensì significante, nel senso cioè che è segno privo di significato) è qualcosa di cui possiamo godere proprio attraverso la lettura di quel tipo di haiku.

In questo caso, dell’autore non ci interesseranno più i suoi umori, le sue emozioni, le sue riflessioni, ma la piccola meraviglia che gli ha provocato quella particolare visione, e quindi l’attenzione dedicata a questa visione, la volontà di dargli uno spazio, piccolo, ma tutto suo. Non è dunque tanto l’oggetto della rappresentazione a costituire la ragione di esistere di questa arte (continuiamo a chiamarla così per comodità, cercando di dimenticare la solennità che la parola rievoca. Eh, è dura, lo so!), quanto la dedizione del suo osservatore, che ha cercato di riprodurla senza alterarla con altri residui di ego-soggettività che non siano la scelta del dettaglio e la prospettiva di osservazione.

Questo non ha nulla a che fare con la freddezza e l’ipocrisia del realismo. È il paradosso, magico e verissimo, dell’unione, o meglio dell’eclissi, del binomio soggetto-oggetto.

In conclusione potremmo dire che il soggetto, buttato fuori dalla porta, non rientra dalla finestra, ma resta a guardare dal buco della serratura, in silenzio.

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mercoledì 21 maggio 2008

Primavera [III]


Ombra d’ape
dietro il petalo bianco.
Lo stelo dondola.

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domenica 18 maggio 2008

Koan apocrifi: Caso IV


Un monaco domandò a Chao-chou: – L’ignorante e Buddha sono uguali. Cosa vuol dire ciò?
Chao-chou rispose: – Entrambi sanno di non esserlo.


Poesia


Una pietra sul punto di cadere
e una pietra già caduta
non conoscono la loro differenza.
Prendi al volo la pietra
che ti ha colpito in testa.

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martedì 13 maggio 2008

Vuoto su tela




"aeroporti per le luci, le ombre e il pulviscolo"
_______John Cage su «White painting» di Rauschenberg

Dovrei dire che oggi Robert Rauschenberg è morto, eppure non ci sarà mai modo di dimenticare tutto quello che lui non ci ha fatto vedere.
Nei suoi dipinti completamente bianchi, nella cancellazione del disegno di de Kooning, quest'uomo di origini berlinesi e cherokee che fermava il vuoto nelle tele e poi lo rimetteva in acqua, perché tornasse alla vita quotidiana, quella delle sue «combinazioni» o delle sue biciclette (indimenticate quelle a Potzdamer Platz)... ecco: in tutte queste opere lui non ci ha voluto mostrare proprio nulla.
Nel mezzo di questo infinito varietà che ci stupisce a forza, ci mancherà.


Sopra: Rauschenberg accanto a «White painting», 1951, olio su tela, 182,9 x 182,9 cm, quattro pannelli, Collezione dell'artista

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lunedì 12 maggio 2008

Berlino, nel tempo


Per le strade di Kreuzberg
o la Unter den Linden, Berlino
la vedi solo accanto alle vecchie cartoline
sui girevoli dei negozi di souvenirs,
ai libri di fotografie sfogliati sulle bancarelle
senza alcuna intenzione di acquisto,
alle rughe di pochi passanti o alle borchie
opache di qualche punk.

Dovunque hanno appena costruito
oppure assisti a un venerdì sera
vestito del lavoro di operai
certamente stancabili.

Davanti agli specchi di un ufficio vedi un giovane
soldato dell’armata rossa appena colpito
da un cecchino appostato nel palazzo accanto,
scomparso da anni, e distingui
i colpi mancati sugli stipiti
del portone di fronte
sopravvissuti più a lungo delle strade adiacenti
e di altri abitanti.

Sulla Potzdamer Platz svetta il primo
semaforo del mondo, o una sua copia.
Una manifestazione del governo socialista vi attende
il passaggio di una parata nazista in ritardo
per andare a bruciare libri bianchi
ancora non letti.

Il traffico è diretto da un giovane ufficiale americano
dall’alto della sua vedetta piantata nel mezzo
della polvere di nessuno – ecco vede:
il Kaiser Guglielmo II Hohenzollern entrare
nella sua suite d’albergo preferita
aperta sulla strada dalle bombe degli anni a venire
circondato da donne di cui
non ricorda il nome
mentre dal sottopassaggio della U-Bahn
– proprio di fianco al bunker estivo della famiglia Hitler –
risalgono decine e decine di persone che non pensano:
«Quello era est. Quello era ovest».

Rotte in un istante
non si lasciano più le mura
ognuno ne porta dietro un mattoncino
a incastro colorato.
Al di là dello spazio, la città si rimonta
soltanto nel tempo.

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mercoledì 7 maggio 2008

Fuori stagione [I]


Visita inattesa:
aspetto un altro istante
prima di bussare ancora.

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venerdì 2 maggio 2008

a Nauris


La sera ci dava carta bianca, Nauris
e tu vi rollavi un poco del tuo
tabacco discreto. Io vi appuntavo
qualche parola al rabbocco,
prima di soffiarvi sopra
una voce più asciutta.

Poi ci siedevamo alla scacchiera
oleata di fresco, il tuo sorridere etrusco
si incideva senza fretta per ogni
malinteso scoperto.

Rombava e tu inforbiciavi un’altra sigaretta
tradendo una mano più vecchia dell’altra:
«Sono rimasto una volta alla pioggia» – dicesti.
«È impossibile bagnare quanto già zuppo.»

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