Mu


Due sopracciglia in disordine
una piccola cicatrice d'infanzia.

La linea dell'orizzonte sulla sabbia
e quattro gocce di tè verde.

Così si scrive il vuoto su carta.

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giovedì 17 gennaio 2008

Haiku barbari


Questo postato qui sotto è il primo di molti haiku barbari che leggerete in questo blog.
Li chiamo «barbari» (se c'è un dio della poesia, spero mi perdonerà il richiamo carducciano) perché non rispettano la metrica giapponese tradizionale di 5-7-5 sillabe per i tre versi, ma hanno invece una metrica libera, anche se tendenzialmente breve-lunga-breve.


La ragione di questo non rispetto della regola (comunque ormai rinnovata anche da altri - giapponesi, se è l'Auctoritas, che vi interessa) sta nel fatto che non ritengo di alcuna utilità seguire (pedissequamente poi, come certi fanatici subito posseduti dalla nuova moda) delle regole metriche prese di pari peso da un'altra lingua.
Seguire la regola del 5-7-5 perché «così è in giapponese» non m'interessa.
Seguirla perché si ritiene utile una forma fissa è già una scelta più interessante e ha il mio rispetto (anche se forse si potrebbe trovare una formula più congeniale all'italiano).
Io ho invece scelto di non seguirla affatto, ma di cercare un'affinità diversa con la tradizione di questo genere. L'affinità starebbe tutta nel modo di scrivere: l'haiku è innanzitutto una pratica di ricerca interiore - anche se in pochi sembrano ricordarlo - che mira alla sospensione del senso attribuito dal soggetto (intellettivo o emotivo che sia) attraverso una semplicità icastica estrema e disarmante, trovando nel precisissimo dettaglio della natura il contenitore vuoto del vuoto interiore ed esteriore. Si tratta insomma di una vera pratica di svuotamento, e per questo ho cercato di guardarmi dalla tentazione sempre occidentale di reintrodurre il senso attraverso quei mezzi che ben conosciamo: la metafora, il simbolo o anche il relativismo della moderna allegoria; (quel linguaggio retorico che il vero haiku congeda e giammai provoca). Ho sentito invece di poter maneggiare, sempre con cura, quegli strumenti, seppur sempre retorici, che si muovono però più nella direzione del significante, del 'segno vuoto': l'onomatopea, l'allitterazione, l'assonanza, e anche un'analogia, per così dire, 'larga'. Qui, ma come anche altrove, starà soprattutto al lettore non riempire nuovamente quanto già vuotato.

In generale è poi mantenuta una buona affinità tematica, se è vero che gli haiku barbari sono raggruppati per stagioni (ma non vi troverete regolarmente il kigo, il canonico riferimento alla stagione); mi interessa però dare spazio anche al mondo dell'uomo (che non sento necessariamente in contraddizione con quello della natura) e alla modernità, e dunque una parte di ispirazione proverrà dalla città, dalla metropoli moderna, soprattutto in una quinta sezione di haiku dal titolo «Fuori stagione».

Certo, la forma è il contenuto del vuoto, e si sa quanto sia importante nella ritualissima cultura giapponese intrisa di zen. Ma è inutile imitare ciò che non si è; io continuo ad essere un occidentale - un gaijin, direbbero loro - e se mi vesto di tutto punto da orientale sembro anche un po' ridicolo.

Mi scuso per la lunghezza del post, ma ritenevo importante questo chiarimento.
Per la brevità ci sono gli haiku.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Io invece seguirei la regola del 5-5-5, insegnatami dal maestro Oronzo Canà.

 

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