Mu


Due sopracciglia in disordine
una piccola cicatrice d'infanzia.

La linea dell'orizzonte sulla sabbia
e quattro gocce di tè verde.

Così si scrive il vuoto su carta.

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lunedì 28 gennaio 2008

Koan apocrifi


I koan apocrifi che da ieri sono cominciati ad apparire sul blog, costituiscono insieme agli haiku barbari un’altra parte del progetto «apocrifia zen» a cui sto lavorando attualmente. Spiegherò meglio di cosa si tratta nel prossimo post, qui invece spenderò brevemente qualche parola su questi koan apocrifi.


Nella tradizione zen il termine koan indica un particolare problema, attraverso il cui studio e lunga meditazione è possibile raggiungere l’illuminazione. In pratica, si tratta di un aneddoto, di una lezione, spesso di un breve dialogo tra maestro e allievo; esso si presenta come un enigma inesplicabile, che non risponde alle categorie logiche, alla consequenzialità o al principio di non-contraddizione, in quanto la verità dello zen si può intuire, afferrare, solo al di là - o forse dovrebbe dirsi meglio al di qua - delle categorie dell'intelletto.
Le raccolte di questi ‘casi’ furono compilate da maestri e studiosi del buddhismo ch’an (l’antenato cinese dello zen), i quali erano soliti aggiungervi in coda alcuni versi (assolutamente non lirici) e a volte persino un commento al caso, non di rado ancora più oscuro del caso stesso. Rispetto a questa forma, ho mantenuto la presenza della poesia a seguito del koan, rinunciando invece ad apporvi anche il commento, non solo per ragioni di leggerezza.

Ora, prima di dimenticare tutto quello che avete letto sopra, ricordate che il koan può aiutare solo chi coltiva fino alla fine il «grande dubbio» da esso provocato.

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